Il percorso che si apre con la Conferenza programmatica ci offre l’occasione di ripensare e mettere a nudo le criticità del sistema paese, dell’apparato produttivo, dello stato di salute di territori, della condizione dei lavoratori, della mappa delle povertà provando ad immaginare nelle trasformazioni in corso una nuova strategia di investimenti che avvicini i destini delle aree del paese.

La conferenza è in primo luogo una occasione di approfondimento. Perciò focalizzerò l’intervento su poche questioni specifiche… senza voler per questo semplificare la complessità dei temi che ci hanno visto impegnati in questi anni.

Considero l’innovazione e la digitalizzazione una grande e, per certi versi, l’ultima occasione per il Mezzogiorno e le aree più deboli del paese. Credo che l’innovazione possa ridurre il divario e aiutare ad agganciare i territori nei quali la ripresa industriale c’è stata.

Se ci ritroviamo d’accordo nel ritenere il Sud troppo piccolo per competere nella divisione internazionale della ricchezza del lavoro – poiché l’Italia stessa è troppo piccola – ma vogliamo giocare fino in fondo la partita, allora occorre costruire nuove relazioni e modelli di cooperazione, fra imprese e non solo fra Enti Pubblici.
Per mettere in campo questo tipo di programmazione – capace di restituire un ruolo alle aree con un maggiore ritardo di sviluppo e protagonismo ai territori – occorre assumere la contrattazione negoziata come elemento centrale per governare i cambiamenti in atto.

NON possiamo ridurre tutto solo a una questione di risorse disponibili. Perché in realtà serve una politica attiva di sviluppo, e un disegno nel quale lo Stato assuma compiutamente la responsabilità di “regista”, ben oltre la funzione di una pura entità di spesa.
Parlando di sviluppo, in particolare al Sud la scelta politica giusta è puntare in via prioritaria sull’industria, adeguando il sistema produttivo, riqualificandone il modello di specializzazione, favorendo l’ingresso in settori non tradizionali in grado di creare opportunità inedite di lavoro.
Sarebbe profondamente sbagliato concentrare l’attenzione esclusivamente sulle maggiori disuguaglianze e povertà presentate come ineluttabili conseguenze della rivoluzione tecnologica; penso invece che occorra da subito invertire la prospettiva mettendo davvero a fuoco le grandi potenzialità che le nuove tecnologie possono offrire al Mezzogiorno.

INDUSTRIA E INNOVAZIONE: TRANSIZIONE PETROLIO

Guardare alle potenzialità dell'attuale sistema produttivo significa, per la Basilicata, progettare una fase di transizione finalizzata all’emancipazione dalle risorse fossili, dove l’energia resta asset strategico per l’economia del territorio, anche veicolando un modello di sviluppo più sostenibile.

Mi riferisco, in particolare all’attività estrattiva della Val d’Agri, la maggiore riserva petrolifera d'Italia con 104 mila barili estratti al giorno, l’80% della produzione nazionale, il 7% del fabbisogno italiano. Su questa area pesano tutte le criticità e il difficile rapporto tra tutela dell’ambiente e bisogno di lavoro, che si consumano in una relazione difficile dove giocano un ruolo la responsabilità sociale espressa dall’impresa, così come il ruolo di regolazione esercitata dallo Stato.

Oggi, mentre estraiamo, dovremmo avere la lungimiranza di definire ciò che sarà il dopo-petrolio. In questo senso, una concreta contrattazione d’anticipo sembra la strada obbligata per governare cambiamenti così profondi: facendo leva su un meccanismo che impiega ricerca e innovazione per gestire la transizione; mettendo in sicurezza gli insediamenti produttivi, pur riconvertendo le attività in chiave sostenibile.

C’è poi un nesso strategico tra il futuro dell’attività estrattiva e il futuro del settore automotive – entrambi rappresentati, come è noto, in Basilicata da grandi poli industriali (FCA, ENI). Una strategia di connessione funzionale fra questi settori può trovare, proprio nel Mezzogiorno, un mix di condizioni per posizionarsi allo stesso tempo su produzione energetica tradizionale, alternativa e rinnovabile. Un fattore localizzativo unico e importante per attirare imprese (nazionali ed estere) e innescare circuiti virtuosi d’innovazione tecnologica e sociale, riducendo il costo dell’energia per le imprese e al tempo stesso rappresentando un sollievo per le finanze locali.
Se non si parte da qui non sarà possibile affermare una stagione di innovazione e sviluppo.

 

INNOVAZIONE E POLITICHE ORARIO DI LAVORO

Governare questo tipo di innovazione significa gestire gli effetti che la trasformazione determinerà, per trovare un nuovo equilibrio tra capitale e lavoro – non diversamente da quanto è già accaduto in tutte le fasi che hanno attraversato le trasformazioni industriali.
Un tema che richiede un ripensamento delle politiche sui tempi di lavoro , Assumendo come centrale la riduzione del l'orario di lavoro come elemento centrale per il riequilibrio delle relazioni di potere.

Non ci si può certo rassegnare all'idea che industria 4.0 riguardi solo una fascia di persone con più elevati livelli di istruzione, immaginando per tutti gli altri un po' di assistenzialismo o peggio la ghettizzazione nei servizi a bassa qualificazione e retribuzione. Di fronte ad una innovazione veloce, la chiave sta nella formazione permanente, nell'acquisizione di nuove competenze, nella definizione di nuove regole nella contrattazione che trovino il giusto equilibrio coniugando tempi di vita con i tempi di lavoro.

 

INNOVAZIONE E WELFARE – WELFARE CONTRATTUALE

In questa Conferenza di programma, credo, infine, doveroso aprire una vista sul welfare contrattuale sul come incrocia il tema welfare universale e come vada letto il suo potenziamento e rilancio come leva di sviluppo proprio attraverso la rivoluzione digitale in atto.

Il nostro sistema di protezione sociale è al centro di profonde trasformazioni, e non possiamo certamente attendere che, nei prossimi decenni, si creino sistemi di welfare differenziati abbandonando milioni di cittadini a un destino di disparità. Dinnanzi alla prospettiva dell'esaurimento del welfare, occorre individuare nuove soluzioni che tutelino questo costrutto fondamentale, pilastro insostituibile nella nostra democrazia.

Continuare a utilizzare la leva del welfare contrattuale come autorità salariale attraverso la defiscalizzazione rischia di minare alla base il principio di un welfare universale, e così facendo il diritto stesso alla salute. Il rischio che si determini un doppio canale, tra chi può accedere a prestazioni sanitarie e chi non può usufruirne, è tanto più reale quanto più si impoverisce il welfare pubblico per il minore gettito fiscale.

credo che dovremo rilanciare la funzione del welfare pubblico universale riaffermandone i principi costituzionali – non è solo questione di giustizia sociale e di universalità, ma la condizione su cui costruire la nostra iniziativa sindacale futura… ed è la condizione a mio avviso più importante.

L’investimento in servizi sanitari e socio-sanitari non solo risponde ai crescenti bisogni di salute e di assistenza, ma è fattore su cui delineare il nostro modello di sviluppo. Il cambio di paradigma richiesto è concepire il welfare come ambito di sviluppo e crescita, per concorrere al pari di altri asset a determinare i fattori di sviluppo del territorio, anziché relegare le politiche sociali a costo per la collettività.
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Costruire le condizioni di contesto per governare l'innovazione significa aumentare molto le competenze; rafforzare seriamente cluster e distretti tecnologici che, allo stato, si rivelano inadeguati alla sfida; sostenere l'occupazione favorendo l'emergere di lavoratori qualificati e adattabili; rafforzare la coesione sociale e la cittadinanza attiva.

Se sapremo imprimere una direzione consapevole e democratica ai cambiamenti, senza farci stravolgere dai processi in atto e invece puntando sempre uno sguardo consapevole sullo sviluppo dell’uomo e sulle potenzialità insite nei processi lavorativi, organizzativi e culturali, allora avremo saputo interpretare con pienezza il ruolo di un sindacato moderno.