Mezzogiorno e Basilicata: un’analisi degli ultimi dati ISTAT e Bankitalia per capire tendenze

“Le stime preliminari di Istat su Mezzogiorno e occupazione, così come le stime di questi giorni diffuse da Bankitalia, confermano un quadro di tendenza dell’economia al Sud e in Basilicata che abbiamo definito in chiaro/scuro nella presentazione del rapporto dell’Ires-Cgil dello scorso 24 aprile. E sono gli elementi che ci spingono a dire che la partita finale per il Mezzogiorno non è ancora stata giocata, sia per quanto riguarda la sua reattività alla lieve ripresa, sia per quanto riguarda una prospettiva più strutturale di economia avanzata e duratura”, è quanto fa sapere Angelo Summa, Segretario Generale Cgil Basilicata in un documento di analisi inviato alla stampa.

“Con differente enfasi, è tuttavia possibile separare il momento dell’euforia (moderato ottimismo lo definimmo) dal momento dell’analisi più profonda e articolata, laddove emerge come al pur positivo riscontro in termini di crescita complessiva (PIL, occupazione e consumi), si riscontra un più modesto quadro di riferimento in termini di produttività.
Ed effettivamente sono tre gli aspetti programmatici che si segnalano e che riteniamo vadano vigorosamente aggrediti: qualità del lavoro, produttività e investimenti pubblico/privati nel Mezzogiorno. Perché ad oggi la lieve crescita che si riscontra è senza dubbio alcuno una crescita dettata più da ragioni congiunturali (coda di spesa della programmazione europea, patti territoriali, abbassamento del costo unitario di lavoro a seguito di sgravi e incentivi di ogni sorta, abbassamento del prezzo del petrolio che ha reso meno oneroso il costo dell’energia, Quantitative Easing, etc.) che da ragioni strutturali (investimenti pubblici e investimenti privati, scelte strategiche di politica economica, settori nuovi e avanzati per ricerca e innovazione, infrastrutture e sistemi di collegamento e logistica) in grado di intercettare le cosiddette nuove vie della seta.
Certo un PIL che cresce dello 0,9% al Sud e che si mostra più dinamico di altre aree del Paese inverte, anche percettivamente, una tendenza di lungo corso e di matrice storica, quella del divario Nord/Sud, che specie negli anni della crisi (2008-2015 in particolare) ha fatto sentire tutto il suo peso e le conseguenze sulle economie di aree che scontano anche difficoltà di altra natura, geografiche, logistiche, di deficit infrastrutturale. Ma è altresì importante focalizzare l’attenzione sulle condizioni che soggiacciono all’avanzata del PIL, rimarcando come ancora oggi si evidenziano in prevalenza fattori congiunturali, dovuti alla crescita più generale dell’economia del paese e dell’Europa, all’uscita dalla fase più aggressiva della crisi; in particolare al Sud e in Basilicata all’abbattimento del costo unitario di lavoro, con meccanismi e procedure che a nostro avviso continuano a rendere più precario, meno sicuro, meno remunerativo e duraturo il lavoro, specie dei più giovani che devono accettare condizioni reddituali e di diritti che non hanno pari negli altri contesti lavorativi europei. La ripresa dell’occupazione osservata nel 2016 ha coinciso, con una lieve flessione delle persone in cerca di occupazione (circa 500 unità pari al -1,6%); di conseguenza, il tasso di disoccupazione regionale si è ridotto di quasi mezzo punto percentuale passando dal 13,7% del 2015 al 13,3% del 2016, a fronte di una modesta crescita nel Mezzogiorno (dal 19,4% al 19,6%). Calo analogo a quello del Centro-Nord, area nella quale il tasso di disoccupazione è passato dall’8,8% all’ 8,4%. Ma ancora una volta non è secondario l’aspetto legato alla precarizzazione del lavoro e alla netta diminuzione (per non parlare di quasi azzeramento) di trasformazioni da lavoro a termine a lavoro a tempo indeterminato. Segno questo che le politiche seguite (dal jobs act agli sgravi contributivi) non solo non hanno corrisposto alla sfida della stabilità lavorativa, ma hanno premiato oltremodo imprese e realtà con poca voglia di innovare e di innalzare la produttività complessiva del lavoro. Grande tallone di Achille della Basilicata e del Mezzogiorno che dal nostro punto di vista vanno ancora visti in chiaro/scuro, più scuro che chiaro.
Inoltre è la qualità delle imprese e la capacità di innovare che va guardata, al Sud ed in Basilicata in particolare. Se si osserva la quota di export regionale, specialmente quella in beni a “crescita dinamica”, si può notare come quest’ultima sia frutto del decisivo contributo della filiera dell’automotive. I beni a “crescita dinamica” sono quelli riferiti a prodotti che inglobano competenze, investimenti, presenza di capitale umano qualificato, cioè vantaggi competitivi non facilmente replicabili, che permettono di stare nelle catene globali del valore più redditizie, ma che sono sfortunatamente scarsamente presenti nel tessuto produttivo locale e anche nazionale. Infatti numero e consistenza, in termini di addetti, delle imprese localizzate in Basilicata con proprietà estera appaiono relativamente esigui. È questo un settore nel quale vi sono ampi margini di miglioramento.
Poi ancora è bene sottolineare come i territori interessati da fenomeni di sviluppo accelerato negli ultimi vent’anni hanno visto, praticamente ovunque, il contributo decisivo di imprese estere. Certo non è che la possibilità di acquisire i vantaggi competitivi in grado di favorire un avanzamento nelle catene del valore sia appannaggio delle sole filiali di multinazionali; tuttavia queste spesso costituiscono un “traino” a favore di imprese locali. Precisamente, le unità produttive regionali possono essere coinvolte in fasi produttive, economicamente non convenienti se affrontate da sole, che richiedono l’implementazione di investimenti immateriali e/o l’acquisizione di professionalità in grado, a loro volta, di accrescere il numero delle unità che operano nei segmenti produttivi caratterizzati da una crescita della domanda più veloce.
Tutti questi fattori spingerebbero ad innalzare la produttività del lavoro ed a recuperare punti di PIL che si orienterebbero verso una crescita più strutturale e meno congiunturale. Ma ad oggi poco o nulla è stato fatto.”
“Infine” chiude Summa, “il grande tema degli investimenti, pubblici e privati. Questi ultimi in particolare che disegnano un quadro di prospettive ancora una volta a doppia velocità, se non vogliamo parlare di divario, che mettono il Nord del paese in condizioni migliori, seppure, come dicevamo, gli ultimi indicatori in termini di PIL riequilibrano a vantaggio del Sud la partita. Il fatto è che al Nord continuano a crescere gli investimenti privati, malgrado la pessima performance italiana su quelli pubblici. In Italia gli investimenti che costituivano il 21,6% del PIL prima della crisi del 2007 sono scesi al 17% nel 2014 e sono 2% al di sotto della media UE. Più degli investimenti pubblici, sono diminuiti quelli privati, scesi di 3,2% del PIL.
Il decreto legge 243 del 29 dicembre 2016, legge n. 18 del 27 febbraio 2017, il cosiddetto “Decreto Mezzogiorno”, stabilisce che la quota delle risorse ordinarie delle spese in conto capitale a favore delle otto regioni del Mezzogiorno non sia inferiore al 34% del totale nazionale, valore raffrontabile al peso che la popolazione meridionale ha sull’aggregato demografico nazionale. Ciò favorirebbe una decisa inversione di tendenza, perequativa rispetto alla situazione osservata ormai da anni e nei quali tale quota è risultata di entità nettamente inferiore al valore indicato dalla disposizione di legge. Se si pensa che la quota di spesa pubblica in conto capitale era passata, nel Mezzogiorno, dal 40,4% del 2001 al 35,3% nel 2007, e la sola quota di spesa ordinaria destinata alla formazione di capitale nel Mezzogiorno era stata pari nel 2007 ad appena il 21,4%, disattendendo ogni impegno programmatico dei DPEF successivi, si comprende come la natura di un rilancio dell’area riparte se c’è una più definita volontà politica, se ci sono scelte strategiche. Certo gli ultimi dati ci dicono che l’economia del Mezzogiorno, nonostante tutto, è reattiva, è viva. Ma non basta a decollare e non può fare a meno di interventi selettivi e qualificati a modificare l’orientamento e la prospettiva. Non può bastare una lieve inversione di tendenza a far dimenticare i problemi di cui il Mezzogiorno soffre, non può bastare il segno più di alcuni settori per dimenticare che il manifatturiero in generale ha bisogno di innovazione, investimenti, infrastrutture e strategie di ampio respiro e che si colleghino ai flussi ed alle opportunità commerciali di nuova composizione.
Secondo alcuni studiosi, l’economia meridionale ha un’elevata elasticità agli investimenti pubblici e a quelli in opere pubbliche in particolare, questo a causa dell’estrema debolezza dell’economia “di mercato” nel Sud, per l’appunto debolezza strutturale, così che la spesa in conto capitale rappresenta un volano molto potente per far ripartire il Mezzogiorno. Proprio per questo, la partita per il Mezzogiorno non è che sospesa, è la madre di tutte le partite, la finalissima da vincere, per poter orientare strategicamente il Mezzogiorno verso un definitivo rafforzamento e un riposizionamento strutturale”.

Angelo Summa