Rapporto Ires Cgil e Spi Cgil Basilicata “Demografia e disabilità in Basilicata”

Summa (Spi Cgil Basilicata): “Le famiglie lucane lasciate sole nella cura di anziani e disabili.Una situazione inaccettabile a fronte delle numerose risorse derivanti dal petrolio e dal gas. Non ci rassegniamo alle politiche dei bonus. Il sostegno alla disabilità deve essere una priorità nella nostra regione”

 

Il 96% dei disabili lucani, e almeno l’86% di quelli gravi, rimane in carico alle famiglie, con gravi conseguenze economiche ma anche di qualità delle cure e di qualità della vita complessiva: solo il 4% di tutti i disabili lucani (4.342 persone) è preso in carico dalle politiche sociali regionali. È quanto emerge dal rapporto su “Demografia e disabilità in Basilicata” realizzato dall’Ires Cgil e dallo Spi Cgil Basilicata.

Il dato si innesta in un quadro demografico preoccupante. Fra il 2018 e il 2022 la regione perde cumulativamente il 4,8% della sua popolazione. Il quoziente di natalità (nati per mille abitanti) è in forte calo e nel 2022 scende all’89,7%, in controtendenza rispetto al Mezzogiorno. Dai 541.168 abitanti registrati a fine 2022, il rischio è di ritrovarsi con una ulteriore perdita di circa il 40% di popolazione entro il 2070. Con un indice di vecchiaia del 114%, gli ultrasessantacinquenni lucani sono il 25% della popolazione attuale (134 mila), un punto in più della media nazionale, stima destinata addirittura a raddoppiare nel 2070. I pensionati con oltre 80 anni sono un terzo circa del totale. La Basilicata ha quindi una popolazione di pensionati piuttosto anziana e di conseguenza maggiormente esposta al rischio di disabilità.

Con una media annua di 14.000 euro di pensioni erogate a persone disabili, la Basilicata è quartultima in Italia, con circa 1.000 euro annui in meno rispetto alla media nazionale. La percentuale di popolazione con grave disabilità è del 5,6% (a fronte del 5% nazionale) mentre quella con disabilità non grave è del 16,4%: in valore assoluto ciò corrisponde a più di 30.000 persone con disabilità grave ed a circa 90.000 con disabilità lieve. Il grosso, quasi la metà, è affidato al servizio sociale professionale, con una spesa annuale per le famiglie di 1.300 euro per servizi di cura e sanitari. L’incidenza sul totale della spesa per consumi è superiore persino alla media del mezzogiorno, oltre che a quella nazionale. Quote più piccole sono prese in carico dall’assistenza domiciliare, dal sistema dei voucher, dagli assegni di cura e di accompagnamento e dai contributi per cure e prestazioni sanitarie.

La quota di anziani beneficiari di servizi socio assistenziali domiciliari è allineata alla media nazionale, ma permane modestissima, inferiore all’1% di anziani di 65 anni e più, del tutto insufficiente a fare fronte alle esigenze della platea complessiva. L’assistenza agli anziani e disabili continua ad essere quindi imperniata sulla istituzionalizzazione che riduce la qualità della vita degli utenti. Il grosso della spesa dei Comuni lucani per disabili ed anziani va all’ADI (assistenza domiciliare integrata), seguita dall’assegno di cura/accompagnamento e, per i soli disabili, ai centri diurni e ai contributi per prestazioni sanitarie. Settori di spesa come il trasporto sociale, che pure sarebbero indispensabili in una realtà dove il trasporto pubblico locale funziona poco e male, sono sottorappresentati. Lo stesso vale per la spesa per attività ricreative, sociali e culturali o per i centri di aggregazione sociale.

La spesa sociale lucana risente poi della spending review e delle difficoltà finanziarie dei Comuni. Nel 2019 questa spesa è scesa fino a tornare sui livelli del 2011 per il comparto dei disabili e a un minimo assoluto negli ultimi 10 anni per quello degli anziani. Si registra inoltre un problema di diseguale distribuzione territoriale delle prestazioni: ad esempio, circa un terzo dei Comuni lucani non eroga servizi di assistenza domiciliare socio assistenziale; poco più di un Comune su dieci eroga assistenza domiciliare integrata con servizi sanitari; meno della metà distribuisce assegni di cura o voucher.

“Bisogna investire nel welfare e in particolare nel sociale. Il sostegno alla disabilità – afferma il segretario generale dello Spi Cgil Basilicata Angelo Summa - deve essere una priorità nella nostra regione. Non è più tollerabile che nonostante tutte le risorse a disposizione derivanti dalle royalties del petrolio e del gas, questa Regione non sia in grado di dare risposte adeguate alla fascia di popolazione più fragile. Non ci rassegniamo alla cultura del bonus e di lasciare le famiglie lucane completamente sole nel sostenere i servizi di cura e assistenza.

Dall’indagine – prosegue Summa – emerge come il sistema di cura per la disabilità in Basilicata sia affetto da diversi squilibri: territoriali, finanziari e di mix di offerta, dove di fatto l’assistenza domiciliare lascia il passo a quella istituzionalizzata. La bomba demografica data dall’invecchiamento della popolazione rischia di travolgere un sistema così fragile. Si rende quindi necessario un intervento politico, che veda la Regione Basilicata in un ruolo di coordinamento rispetto ai Comuni, mirato ad estendere la platea di beneficiari di cure perlomeno fino alla media nazionale e che garantisca capillarmente il servizio su tutto il territorio agendo per riaggregazioni territoriali di ambito ottimale, con hub di assistenza facilmente raggiungibili dai sistemi di trasporto pubblico. è necessario spostare l’assistenza dall’istituzionalizzazione verso la domiciliarità, concentrandosi sulla disabilità della terza età, sempre più rilevante anche per il futuro e arricchendo il set di servizi erogati valutandone l’impatto”.

Ciò per Summa significa inevitabilmente “un aumento di spesa pubblica dedicata al settore. È d’obbligo – conclude il dirigente sindacale - una riorganizzazione territoriale dei distretti socio-sanitari, rispetto ai quali è prevalso un criterio di economicità a scapito di quello di efficacia, prevedendo una rete con degli hub territoriali nelle località principali e una maglia di trasporti dedicati per consentire a persone disabili o con ridotta mobilità di potersi recare in tali centri. Tale riorganizzazione va condotta con un criterio basato sui costi di intervento e la dimensione della platea, ma anche con le distanze e i tempi necessari per recarsi negli hub di cura da parte dei residenti delle aree più periferiche, senza superare i trenta minuti di spostamento. Parallelamente, laddove si richiedono micro interventi domiciliari che renderebbero troppo costoso l’ausilio pubblico, il Terzo settore va riorganizzato in rete e rafforzato in termini di dimensioni e competenze, attraverso incentivi mirati all’aggregazione e alla creazione di reti fra gli enti, che consenta loro di intervenire laddove la possibilità pubblica di un intervento è lacunosa o troppo costosa”.

Potenza, 7 febbraio 2024