Autonomia differenziata: no alla secessione dei diritti. L’autonomia differenziata divide e rende più povero il Paese

Summa: “Serve un piano di investimenti nazionale e l’applicazione dell’art. 119 della legge sul federalismo e sui costi standard”

“No alla secessione dei diritti. L’autonomia differenziata divide e rende più povero il Paese”. Questo il tema del convegno promosso dalla Cgil e dalla Flc Cgil Basilicata a Potenza, nell’Aula Magna dell’Università di Basilicata a rione Francioso, per discutere con voci autorevoli - a partire dal presidente Svimez Adriano Giannola - le caratteristiche principali e le conseguenze per il Mezzogiorno dell’autonomia differenziata.

“Ancora oggi, nonostante si tratti di una materia così impattante sull’assetto costituzionale del nostro Paese, il tema dell’autonomia differenziata sta passando inosservato”, ha detto il segretario generale Cgil Basilicata Angelo Summa alla tavola rotonda moderata dalla giornalista di Radio Articolo1 Roberta Lisi.

“Non si conoscono i suoi effetti – ha continuato - che pure arrivano da lontano, dalle riforme che hanno connotato gli ultimi 20 anni, dal Titolo V in avanti, fino alla questione meridionale che è irrisolta. La responsabilità, da un lato riguarda l’appannamento politico regressivo e culturale delle classi dirigenti del sud e le modalità con cui hanno utilizzo i fondi comunitari che ha giustificato la non attribuzione delle risorse del governo nazionale al sud. Dall’altro riguarda la mistificazione della realtà su cui poggi la proposta di autonomia differenziata.

Il residuo fiscale – ha spiegato Summa - è una scatola vuota, un artifizio costruito ad arte per dare alle regioni del nord la possibilità di giustificare la loro necessità di risorse, dovuta alla crisi. Regioni come Lombardia e Veneto credono di poter risolvere i loro problemi economici sottraendo risorse al Mezzogiorno e, così facendo, cristallizzando il gap tra nord e sud. Uno stratagemma che potrà funzionare nel breve periodo ma non nel lungo. Il nord deve almeno l’80% del suo sviluppo alla domanda che indirettamente viene dal Mezzogiorno. Come non capire, dunque, che il principio dell’autonomia differenziata rispecchia una visione regressiva, che spacca e divide il Paese, i cui effetti saranno deleteri anche in Basilicata?

Ciò che preoccupa maggiormente - ha detto ancora Summa - è che i fabbisogni standard verranno definiti da meccanismi legati al gettito dei tributi erariali. Non dalla povertà. E in assenza del peso politico del sud il rischio è di arrivare a uno squilibrio del Paese che è nettamente spaccato in due, in cui la parte più forte diventa cannibale a spese della parte più debole. La risposta è una: un coordinamento delle regioni del sud attraverso una visione comune e un patto di investimenti comuni.

Non vogliamo contrapporre il Mezzogiorno al resto del Paese. Abbiamo bisogno di piano di investimenti nazionale, nell’applicazione dell’art. 119 del federalismo della legge 42 sui costi standard in base al quale un servizio deve costare nella stessa maniera a Potenza come a Milano. È su questo che dobbiamo sfidare chi si candida a governare questa regione, senza cedere a slogan di chi viene in Basilicata spacciandosi per sovranista quando in realtà è portatore di una radicata cultura nordista”.

Ha aggiunto Paolo Fanti, segretario generale Flc Cgil Basilicata: “L’autonomia differenziata è un’idea sciagurata non solo per la scuola ma per il Paese intero. La scuola diventa regionale, il personale viene assunto e pagato dalle regioni, i concorsi si bandiscono su base regionale, perfino la valutazione del sistema farà capo alle regioni. È la fine del diritto all’istruzione come diritto sociale individuale da esercitare in maniera uguale indipendentemente dal luogo in cui si risiede ed è la fine della coesione sociale e dell’unità culturale del Paese, di cui la scuola è il primo presidio.

La nostra idea di autonomia, che è fondata sui principi della nostra Costituzione, è ben altra – ha precisato Fanti - garanzia del diritto all’istruzione per ogni alunno in maniera uguale in ogni angolo del Paese attraverso la determinazione dei livelli essenziali delle prestazione in materia di istruzione e legge di principi nazionale per un’autonomia regolata e basata sulla leale collaborazione, intesa come intervento dello Stato a supporto delle aree più svantaggiate”.

Ha concluso il vice segretario generale Cgil nazionale Vincenzo Colla: “Non è solo una fatto economico ma uno svuotamento dei poteri di Stato che vengono decentrati, un paradosso politico. Abbiamo una debolezza di Stato che trasciniamo sui territori pensando di essere più competitivi nel mondo: sono più forte perché son padrone a casa mia. Ma così non si va da nessuna parte. Ed è incredibile che questa discussione c’è perché è dentro a un contratto, che poggia su un terreno che non regge.

Non posso andare in Veneto e fare il regionalista e poi qui, al sud, in Basilicata, fare il sovranista. Non può funzionare. Non ci può essere discussione sul decentramento se non c’è governo forte di Stato. Pensiamo se avessimo 20 governi regionali diversi, saremmo debolissimi anche rispetto al resto d’Europa. Sapendo che la secessione c’è già, sulla sanità, sull’istruzione, sul diritto di mobilità, sul lavoro.

In un tale contesto – ha detto Colla – è un errore attaccare solo il modello amministrativo. Bisogna chiedersi quale debba essere la rinascita del sud, e la Cgil lo sta facendo. E la risposta non può essere la cultura per la quale ci consegnano un nord che pensa alla produttività e un sud che pensa all’assistenza, banalmente sintetizzata con reddito di cittadinanza e quota 100. Il problema è la cesura investimenti al nord come al sud senza precedenti, che non solo non crea lavoro ma aumenta quella secessione per cui al sud si sta peggio che al nord. Ecco perché le regioni del nord pensano di competere da sole e senza il sud. Niente di più sbagliato ed è su questo punto che bisogna lavorare”.